Il maestro e il fanciullo

La nuova concezione di infanzia

Nel XX secolo si cominciò a dare una sempre maggiore importanza all’educazione. Già dalla fine dell’Ottocento si registrò un crescente interesse per il mondo dell’infanzia e per i diritti dell’infanzia. Nel 1902 Ellen Key con il suo celebre libro “il secolo dei fanciulli” poneva l’infanzia al centro della vita pubblica e privata con la convinzione che solo in questo modo si potesse rendere migliore l’umanità. Fin da subito il libro divenne il testo di riferimento della nuova pedagogia a livello mondiale.

Il Novecento è senza dubbio stato il periodo in cui i bambini sono stati più studiati e curati; fu infatti il
secolo della pediatria e della puericultura oltre al secolo della Convenzione sui diritti dell’infanzia.

Proprio in questo periodo si moltiplicarono le scuole che non vennero concepite solo come locali occasionalmente adattati all’insegnamento ma come luoghi in funzione dell’infanzia. Il sistema scolastico aperto anche ai ceti sociali popolari delineato nel XIX secolo assunse le caratteristiche di un servizio sociale che divenne via via meno elitario.

Le scuole divennero più eleganti, spaziose e armoniose, con un’organizzazione flessibile dello spazio per favorire il gioco e l’apprendimento formale.

Emersero inoltre nuove figure professionali che si occupano dei bambini e dei ragazzi, come i medici pediatri, neuropsichiatri, psicologi, educatori della prima infanzia.

Il punto di svolta fu il modo di intendere l’infanzia. In precedenza, questa fase della vita veniva ritenuta poco significativa a causa della precarietà fisica e della dipendenza dall’adulto, per questo motivo tanto valeva che durasse il meno possibile e che fosse accelerato il passaggio all’età adulta.

Verso la pedagogia scientifica

Un altro cambiamento significativo fu un radicale cambiamento della pedagogia che non venne più considerata come unica utile per l’educazione ma bisognosa di essere integrata da altri saperi come la biologia, la psicologia e la sociologia.

Si tratto del primo nucleo denominato modello delle “scienze dell’educazione”. Alla sua definizione concorsero i protagonisti dei movimenti di rinnovamento scolastico, che in Italia prese il nome di “attivismo”.

Nella seconda metà del secolo si cominciò a delineare le modalità più “scientifiche” per intervenire in campo educativo, nello specifico in riferimento ai processi di apprendimento. Decisivo fu il contributo degli studiosi di formazione medico-psicologica grazie ai quali la pedagogia acquisì maggiore attenzione alla ricorsività dei fatti, più interesse verso il valore dimostrativo dei dati si impegno a rendere le pratiche didattiche funzionali allo sviluppo mentale.

Nel 1879 Wilhelm Wundt fondò il primo laboratorio sperimentale sulla psicologia. Da allora fiorirono in varie parti del mondo laboratori, studi, congressi dedicati ad iniziative sperimentali di impianto psicopedagogico.

Nel 1905 lo psicologo francese Alfred Binet presentò i primi test d’intelligenza. Lo scopo era quello di identificare gli alunni che avevano bisogno di un particolare aiuto nelle materie scolastiche. Nel 1912 William Stern perfezionò gli studi di Binet e introdusse il QI (quoziente di intelligenza) cioè il calcolo del rapporto tra l’età mentale, misurata con i test, e l’età cronologica.

Questi studi chiarirono la differenza tra l’intelligenza dell’adulto e quella del bambino con notevoli conseguenze nel modo di vedere l’infanzia.

Le differenze non erano solo di tipo quantitativo ma anche di tipo qualitativo e cioè il prevalere della comprensione a base rispetto a quella di tipo astrattivo.

Claparede si occupò dei bambin definiti ritardati, cioè coloro considerati inadatti alla scolarizzazione per le loro ridotte capacità mentali.

Alcuni giovani medici muniti di un buon bagaglio di nozioni psicologiche fra cui Maria Montessori si riproposero di definire le diverse caratteristiche dei deboli mentali e provando ad educarli. Mentre Claparede si focalizzo sugli insegnanti, Montessori avviò diverse scuole infantili che fornirono non solo elementi utili per l’educazione dei soggetti disabili, ma anche importanti indicazioni per il rinnovamento della didattica dei soggetti normali.

Il mondo dei giovani

Oltre all’interesse per l’infanzia crebbe anche quello per il mondo giovanile. La realtà giovanile iniziò, in quel periodo a subire dei profondi cambiamenti legati ai processi di modernizzazione e a nuovi climi di cultura. La giovinezza cominciò ad essere vista come una particolare e felice condizione fatta di esaltazione della ribellione e dell’incoscienza.

Gli studi compiuti da Granville Stanley Hall sull’adolescenza cercarono di descrivere per i processi del passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

L’adolescenza è caratterizzata da sentimenti contrastanti, un certo grado di turbamento emotivo e di sconvolgimento psicofisico prima di arrivare a stabilire un equilibrio come gli adulti.

Queste indicazioni diedero poi vita varie esperienze ubicative, la prima delle quali fu quella dei Wandervogel. Il movimento fu promosso nel 1897 da uno studente liceale Karl Fischer. Il movimento, che già nel 1904 contava migliaia di sostenitori era animato da un acceso spirito antiborghese espresso in una vita a contatto con la natura, il disprezzo per i miti borghesi e per il denaro. Nella comunità venivano poi esaltati anche lo sviluppo libero del ragazzo, la coltivazione dei valori spirituali, l’autonomia della gioventù.

Il movimento scoutistico nato in Gran Bretagna da Robert Baden-Powell era incentrato sulla valorizzazione del tempo libero come tempo utile per l’educazione. Questo si fondava sull’avventura, la ricerca e l’espoliazione puntando ad un forte senso dell’onore e del dovere verso gli altri. In questo modo i ragazzi si esercitavano all’ordine e alla disciplina di gruppo.

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